Gastronomia 2018-02-25T18:08:29+00:00

La cucina materana, naturalmente, è strettamente legata alla geografia e alla storia del territorio e risponde a categorizzazioni diverse dalle usuali.Sulle estese colline dell’agro si coltivano prevalentemente grano, olivo e vite; sulla roccia della murgia nascono piante selvatiche e si allevano pecore e vacche podoliche.

La cucina del passato
Ci riferiamo qui alla cucina materana degli ultimi due secoli, fino allo sfollamento dei Sassi (iniziato negli anni ‘50 del Novecento). Poichè i contadini ed i pastori avevano la casa in città ma lavoravano nei campi, distanti anche alcune ore di cammino, molti piatti tipici sono Piatti di campagna, preparati dagli uomini. Si tratta di tipiche pietanze pastorali, piatti a base di prodotti spontanei e di pane di Matera (prodotto in grandi forme e consumabile per settimane). Quando si era in città si consumava pasta fresca accompagnata da verdure o legumi, prodotti a base di carne di maiale o di pollame, a volte anche piatti di realizzazione più complessa, riservati alle donne: erano i Piatti di casa. Il vino, rosso e corposo, era consumato sia in campagna che in città.
Esistevano poi i Piatti dei giorni di festa, molto più elaborati e legati a specifiche ricorrenze, fra cui molti dolci.

La cucina di oggi
Sebbene sulle tavole dei materani oggi si consumino prodotti propri della tradizione italiana e internazionale, spesso industriali, compaiono ancora i prodotti tipici della storica tradizione locale. Con il tempo si sono affermati anche nuovi ingredienti e nuove modalità di preparazione che hanno portato alla creazione di Piatti tipici moderni, che si sono affiancati ai piatti storici della tradizione. A Matera è oggi facile trovare anche specialità di altre aree della regione Basilicata ed è ricca anche l’offerta di Street Food tipico, da mangiare al volo. In ultimo, parliamo di cosa bere.

Prodotto in grandi forme che anticamente superavano i 5 Kg, ha ingredienti di alta qualità, quali semola di grano duro, lievito madre, acqua e sale, una crosta spessa ed una morbida e soffice mollica. Le grandi dimensioni unite alla qualità della semola e del lievito madre, garantivano al pane una lunga conservazione che sfidava le settimane di permanenza nei campi. Nel passato era impastato in casa ma cotto in grandi forni comuni: da qui l’esigenza di marchiarlo per poterlo riconoscere dopo la sfornata, con i celebri “timbri del pane”, in legno o ferro. Vedi sezione Artigianato

Al palato non esperto può ricordare il più celebre pane di Altamura, di cui condivide le origini murgiane.

Per i motivi già esposti, gli ingredienti principali dei piatti che gli uomini si preparavano nelle settimane nei campi lontani da casa sono il pane consumato fresco, raffermo o abbrustolito, verdure campestri, frutta e piatti pastorali.

Sono a base di pane la Cialledda calda (pane a tocchetti su cui viene versato un brodo caldo con uova, olive, pomodori, aglio, patate e cipolla); la Cialledda fredda (tocchetti di pane con pomodoro, olive, origano, cipolla, basilico, olio di oliva, sale); il Pane cotto (il pane viene bollito in acqua e condito a scelta con rape o un condimento simile alla cialledda calda); la Fedda Rossa (una bella fetta di pane abbrustolita simile a una bruschetta e condita con pomodori schiacciati), le Friselle (pane biscottato in ciambelline da inumidire e condire con pomodori).

Spesso il pane si accompagnava a piante spontanee del territorio campestre e murgiano, come i cimalaponi (rape selvatiche), sivoni (una varietà di cicoria), cicorielle selvatiche (più amare delle cicorie), lampascioni (cipollotti amarognoli), funghi cardoncelli ed asfodeli. La frutta fresca non costituiva solo un fine pasto ma anche un piatto principale, come nel caso dell’insalata di arance, a base di arance, aglio, sale ed olio. Vicino alle piante spontanee spesso venivano raccolte le lumache, di cui si riconoscevano ben quattro varietà: monachedd, chezz, quaptagghiaun e pecredd, cotte in un brodo di pomodoro.

Maggiore sostanza ed elaborazione avevano tre piatti pastorali, come la Pignata, dove la carne di pecora è cotta per lunghe ore in enormi recipienti di terracotta chiusa con un coperchio fatto di pasta di pane, accompagnata da acqua, patate, pecorino, salame, cipolla, sedano, sale.

Il Cazzomarro e gli Gn’mredd sono entrambi costituiti da da budella ripiene di interiora e frattaglie, ma il primo costituisce un grande pezzo unico, i secondi sono piccoli bocconcini.

Le pietanze consumate in casa, preparate dalle donne, prevedevano un unico grande piatto centrale , da cui si servivano tutti i commensali e che spesso costituiva l’unica abbondante portata del pasto. Quasi sempre si trattava di pasta fresca, ed alcuni formati si abbinavano preferibilmente ad alcuni condimenti: per i legumi si usavano gli Gnittlucchj (cavatelli ad un dito, per cicerchie, ceci e fagioli) o le Tagghiarin (tagliolini spezzati per lenticchie, piselli o brodo). Le Scherz d’amell (un formato di pasta di forma simile alla “buccia di mandorla”) si sposavano bene con rape e mollica fritta, gli Gnittl d smlaun (cavatelli a tre dita di farina integrale) o la Sagnalata (simili alle fettuccine) con il sugo di pomodoro.

Il pane non mancava mai, e veniva utilizzato sia per alcuni dei piatti cucinati anche in campagna, sia per altre elaborazioni come le Polpette di pane, delle piccole frittate con uova e pane, o per il pancotto dei bambini, diverso da quello degli adulti, simile ad una crema di pane, un vero e proprio omogeneizzato ante litteram per i più piccoli.

Il pane era indispensabile anche per accompagnare altre preparazioni gustose come le olive fritte, i pomodori secchi, la soppressata e il salame, le zucchine alla scapece (zucchine fritte condite con aglio e menta), i peperoni fritti (chiamati friggitelli) e formaggi stagionati come pecorino e cacioricotta, ed abbondante verdura portata dai campi, come fave, rape, cicorie, bietole, cavoli, verza.

La carne non era consumata esclusivamente nei giorni di festa: piatti come l’agnello con le patate (cotto con un po’ di brodo in una grande pentola), la salsiccia di maiale ed il pollame erano consumati, pur se moderatamente, nell’arco dell’anno.

Un piatto simbolo della cucina materana è Fave e cicorielle campestri, dove le fave sono ridotte a densa purea dopo lunga cottura, accompagnate da cicorielle selvatiche lessate in acqua, olio di oliva e sale. Il composto era mischiato, di modo che la purea avvolgesse le cicorielle. Oggi è facile trovarlo nei ristoranti, specie nella versione con le cicorie, con i due ingredienti ben separati.

Ci sono due piatti che ancora oggi caratterizzano i giorni di festa più importanti per i materani quali la Festa della Bruna (2 luglio, vedi sezione dedicata), il giorno di Natale, il giorno di Pasqua e molte domeniche: Pasta al forno alla materana (ziti spezzati conditi con sugo di pomodoro, treccia di mozzarella, polpettine di carne, salame e a volte uova sode) il cui tegame era cotto nei grandi forni comuni per il pane, ed Agnello arrosto con insalata: le donne preparavano la pasta, gli uomini erano addetti all’arrosto. L’abbondante pasto festivo era spesso concluso con dolci tipici, quasi sempre di pasta secca con mandorle come le strazzate (dal composto irregolare e duro), le friselle dolci (tipo i cantuccini toscani), gli schiumetti (con albume d’uovo). Molto diffusi anche i calzoncini di amarena, i taralli dolci al vino bianco, i fichi secchi farciti con vincotto o mandorle e la cotognata, una composta di mele cotogne.

1mo Agosto

Di antica origine, probabilmente longobarda, era il giorno della Festa del raccolto, in cui si cucinava la Crapiata, un piatto ricco di simbologia. Era una pietanza collettiva, simbolo dell’unione del vicinato: si poneva al centro del cortile comune una grande pentola colma d’acqua con sale, e ciascuna famiglia versava grano, patate e diversi legumi del vecchio raccolto, in quantità diverse. Questa gustosa zuppa veniva consumata tutti insieme in un clima di festa. Il piatto era così simbolo del vicinato: tanti ingredienti diversi condivisi per creare un unico piatto. L’etimo è incerto, ma l’uso funzionale è noto: si svuotavano i depositi del vecchio raccolto per far posto al nuovo e allo stesso tempo si minimizzava il rischio che mescolando i raccolti, eventuali insetti e parassiti presenti nel vecchio raccolto attaccassero il nuovo.

Dicembre e Natale

La vigilia dell’Immacolata, il 7 dicembre, era il giorno in cui il datore di lavoro offriva la cena ai dipendenti. come le odierne cene aziendali che oggi si consuma prima delle vacanze di Natale. Il piatto principe era il baccalà con le olive nere. Un particolare tipo di pane veniva sfornato in questa ricorrenza: il ficcilatidd, dalla forma a ciambella ed impastato con farina raffinata di grano tenero, sale, olio, strutto e semi di finocchietto. Ancora oggi si trova nei panifici cittadini in questa occasione.

Dall’8 dicembre si cominciavano a friggere le Pettole, bocconcini di pasta di pane, fritte in abbondante olio d’oliva e salate, che a volte prevedevano nell’impasto anche acciughe o uva passa o fichi secchi, che accompagnavano l’intero periodo natalizio. Come per il grano e i legumi nel caso della crapiata, anche l’uso di fritture nel periodo natalizio aveva lo scopo di consumare il vecchio olio per fare spazio all’olio nuovo, in produzione nei mesi invernali: oltre alle pettole si friggevano anche i dolci, come le cartellate (dalla pasta leggera e frastagliata, addolcite con miele) o i prcddizz (palline allungate di pasta dolce fritte con miele, altrove chiamati struffoli).

A chiusura del periodo natalizio, alla vigilia dell’Epifania era usanza consumare un numero dispari di pietanze. I bambini erano particolarmente attenti a contarle: se ne avessero consumate in numero pari, il giorno dopo il “conzapiatti” avrebbe cucito loro la bocca. Il conzapiatti era un artigiano che riparava piatti e vasi di terracotta, utilizzando un trapano a mano per produrre fori ed un filo di ferro per legare insieme i cocci rotti ed era l’incubo dei più piccoli.

Carnevale

Erano tradizione che durante le “mattinate” (vedi Tradizioni), festicciuole itineranti,venissero offerti piatti a base di maiale, che veniva ucciso in questo periodo, come salsicce, salumi e sanguinaccio (prodotto dolce, con sangue dell’animale, cacao e frutta candita). Anche le chiacchiere erano un dolce tipico di questo periodo (pasta leggera fritta e zuccherata, altrove chiamate frappe).

Un primo piatto tipico del carnevale erano i ‘calzoni’ di ricotta dolce con sugo di carne di maiale: si tratta di ravioli a mezzaluna ripieni di ricotta zuccherata con cannella o limone e conditi con sugo di carne di maiale. Il piatto univa i due ingredienti “proibiti” durante la Quaresima: la carne ed i dolci. Per attenuare il sapore dolciastro dei calzoni, si aggiungevano le orecchiette.

Pasqua

Il giorno di Pasquetta, come oggi, era destinato alle scampagnate fuori porta, che i materani usavano fare nella zona dei Cappuccini (vedi Tradizioni). Erano funzionali piatti semplici da trasportare e abbondanti, come il Timballo di Cardoncelli (non si tratta degli omonimi funghi, ma della pianta dei cardi), condito con polpettine, uova, formaggio, salame, agnello e brodo. Erano comuni poi le torte rustiche, con pasta frolla all’olio di oliva, fra cui la scarcella, con formaggi e salumi. L’uovo, simbolo di resurrezione, ancora oggi simbolo pasquale, era utilizzato intero, completo di guscio, in un dolce pasquale per bambini chiamato Pannaredd, di solito a forma di paniere (da cui il nome) o di simpatici animali.

Insieme a nuove abitudini alimentari si sono affermati alimenti e pietanze ormai entrati a far parte della cucina tipica locale ma che non appartengono storicamente alla tradizione materana. Molti ristoranti e gastronomie cittadine offrono questi piatti.

Fra i primi, le Orecchiette al tegamino, una rielaborazione della pasta al forno materana, dove le classiche orecchiette sono cotte in forno in piccoli contenitori di coccio e condite con sugo di pomodoro, treccia di mozzarella, e a piacere salame, prosciutto e polpettine. Negli ultimi anni si è anche affermata la Pasta al grano arso, dove nell’impasto viene utilizzata anche farina proveniente da chicchi abbrustoliti. Specie in Puglia, si ricavava questa farina dai chicchi rimasti nel campo dopo la bruciatura delle stoppie (dopo la mietitura si era soliti dar fuoco ai campi), operazione svolta dai meno abbienti. Ha un sapore più deciso rispetto all’usuale pasta fresca. Dalla vicina Puglia giungono anche i Ceci neri, dal sapore vellutato ma deciso e anticamente riservati solo agli animali e alle donne incinte: sono molto ricchi di ferro.

Hanno conquistato le tavole dei materani i latticini freschi, prodotti in quantità in molti caseifici cittadini specializzati in mozzarelle (da consumarsi in giornata), stracciatella (pasta di mozzarella sfilacciata in panna), burrate (pasta di mozzarella ripiena di stracciatella), scamorze, manteche (scamorza ripiena di burro).

Nell’immediato dopoguerra fecero la loro comparsa le prime macellerie equine, specializzate nella carne di cavallo, tradizione importata dal barese, il cui consumo è oggi molto diffuso anche nel materano, sia per carne di asporto, sia per bracerie dove viene servita cotta con diversi condimenti ed in diversi formati.

La vacca podolica produce poco latte e la sua carne non è affatto tenera: il tipo di animale era infatti adoperato esclusivamente per il lavoro nei campi: non era allevato per uso alimentare, se non per produrre il caciocavallo podolico. Il consumo migliore della sua carne è per le preparazioni a lunga cottura, come il brasato o il bollito, pur se oggi viene spesso venduta la tagliata di podolica, pietanza per cui sarebbero da preferire altre razze vaccine.

Anche alcuni dolci si sono affermati ormai come tipici. La produzione di miele si è fatta importante (fra cui il raro miele al timo), ed è tradizione concludere il pranzo della domenica con un vassoio di pasticceria mignon, o in estate con una fetta di spumone (preparazione a base di gelato variegato, pan di spagna e liquore). Per la festa di San Giuseppe sono ormai immancabili le Zeppole di San Giuseppe, nella classica variante fritta o in quella più recente al forno (farcite con crema e amarena).

E’ comune trovare nei ristoranti e nelle gastronomie materane anche alimenti provenienti da altre zone della Basilicata, in primis i celebri peperoni cruschi (peperoni secchi dolci resi croccanti da una veloce frittura) che troverete da soli o a condimento di pasta, carne e patate. Molto presenti anche i fagioli di Sarconi, dalla buccia sottile e usati persino per le marmellate, la melanzana rossa di Rotonda, l’oliva infornata di Ferrandina, il rafano (una radice amarognola, in altre zone d’Italia chiamata Cren o barbaforte) che si consuma fresco da gennaio a marzo anche grattugiato sulla pasta, e il tartufo lucano.

In alcuni ristoranti viene anche offerta la Pasta fresca fatta con farina di legumi, il cosiddetto mishkuglio, tipica della Val d’Agri.

Fra i formaggi, particolarmente apprezzati sono il Canestrato di Moliterno, il Pecorino di Filiano.

Tipica del materano è la salsiccia pezzente, prodotta con diversi pezzi del maiale, e con l’aggiunta di polvere di peperoni cruschi. Anticamente era molto ricca di grasso e realizzata con gli scarti delle altre produzioni (sopressata, pancetta etc), mentre oggi è prodotta appositamente.

Fra le varietà di frutta, spiccano il Marroncino di Melfi (una castagna del Vulture), il Pistacchio di Stigliano, l’Arancia staccia di Tursi e Montalbano (dalla buccia spessa), la Fragola Candonga di Policoro, il Mapo (incrocio fra mandarino e pompelmo, elaborato per la prima volta nel centro Agrobios di Metaponto). Concludiamo con un buon dolce, il sospiro di Ferrandina (pasticcino glassato ripieno di crema).

I prodotti da forno sono ideali per un pasto fugace, i migliori sono la Focaccia al pomodoro, cotta in teglie e condita con la salsa o con i pomodori freschi, il Ruccolo, una focaccia ricca di olio e zucchero.

Ha uno straordinario successo il Panzerotto, un calzone fritto ripieno di pomodoro e mozzarella o oggi in altre gustose varianti. Fra i prodotti secchi, come snack sono molto diffusi i tarallini, anche nelle varianti più grandi e più sottili delle cancelle.

La Basilicata è una regione ricca di acque sorgive, e molte di queste sono oggi imbottigliate. Spiccano le acque minerali del Vulture, alcune naturalmente effervescenti ed alcune di queste acquisite dalla The Coca Cola Company pochi anni fa. Le più vendute sono Gaudianello, Sveva, Leggera, Lilia, Cutolo.

Anticamente il luogo destinato al vino a Matera era il “ciddaro”, una tipica cantina dove poter consumare vino in compagnia, una tradizione ormai scomparsa (vedi tradizioni).

Oggi il vino più bevuto a Matera è l’omonimo Matera DOC, di recente disciplinato, o il più antico e celebre Aglianico del Vulture, che proviene dai vitigni del nord della regione, ricco di minerali grazie al suolo di origine vulcanica. E’ consumato anche il Grottino di Roccanova, un buon IGP rosso.

Alcune birrerie propongono birre artigianali anche di produzione lucana.

Infine, il celebre Amaro Lucano, prodotto a Pisticci sin dal 1894, è onnipresente in tutti i bar e ristoranti della città, e spesso accompagna la fine dei pasti più importanti.