Il territorio materano ha conosciuto una presenza umana continua, che sin dal Paleolitico, si è protratta senza interruzioni sino ai nostri giorni, come testimoniano i reperti conservati al Museo Archeologico Ridola. Alle poche grotte naturali presenti, utilizzate come rifugio nel Paleolitico, si aggiunsero nel Neolitico grotte scavate dalla mano dell’uomo, e la nascita di piccoli villaggi di capanne, i cui resti sono ancora visibili nel Parco della Murgia Materana.
Importanti i ritrovamenti dell’Età dei Metalli, come le celebri “tombe a grotticella” e la monumentale “tomba a doppio cerchio” di Murgia Timone.
Pur essendo dimostrata la continuità della presenza umana nel territorio, rimane incerto il momento in cui si ebbe la nascita di una vera e propria città, dotata di istituzioni, centri religiosi, fortificazioni.
Poco suffragata da reperti, fonti e ritrovamenti, è l’esistenza di una città in epoca greca e romana. Solo a partire dall’alto medioevo (VIII sec d.C) la presenza di una vera e propria città è suffragata da prove inconfutabili: Matera sorse sulla Civita, fortificata sulla sommità di un colle dove oggi sorge la cattedrale. Fuori le mura, nelle vallate del Sasso Barisano e Sasso Caveoso, si distribuivano a maglie larghe i cosiddetti casali, complessi che riunivano strutture residenziali e produttive, che si popolarono con il passare dei secoli.
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In epoca rinascimentale i rioni Sassi erano ormai interamente integrati alla Civita, e costituivano gran parte della città. Non si trattava di quartieri sovraffollati e abitati da classi subalterne, come nell’immaginario comune spesso sono dipinti: erano quartieri popolati da tutte le classi sociali, comprese molte famiglie nobili, e la densità abitativa consentiva orti, vigne e giardini. Le parti scavate non erano generalmente destinate ad usi abitativi, in quanto, presentando condizioni di umidità, buio e temperatura costante, risultavano idonee ad utilizzi diversi, quali cantine, frantoi, granai, caciolai, mulini, cisterne per l’acqua, concerie, neviere, stalle. Nelle parti costruite si abitava, nella parte scavata si produceva e si conservava, con qualità e quantità maggiori di città non dotate di strutture ipogee.
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Nel 1663 il regno di Napoli disegnò nuovi confini regionali, Matera passò dalla Terra d’Otranto, cui era storicamente appartenuta, alla Basilicata, divenendone “capoluogo”, con favorevoli conseguenze economiche, amministrative, demografiche ed urbanistiche. Nel corso del Settecento la città si estese oltre i Sassi, nella zona del Piano, con chiese barocche, palazzi nobiliari e ricchi monasteri.
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L’Ottocento vide un progressivo declino dell’economia cittadina in tutti i suoi settori:
- Agricoltura. La diffusione del latifondo nobiliare, con coltivazioni estensive e braccianti salariati, determinò la scomparsa dei contadini come piccoli proprietari ed il loro trasferimento di massa in città.
- Terziario. Il trasferimento del ruolo di capoluogo alla città di Potenza (1805) determinò la scomparsa del ceto amministrativo e militare.
- Attività produttive. La Rivoluzione Industriale, con l’introduzione di macchine e tecnologie, rese le produzioni in grotta inefficienti ed inadeguate.
- Ecclesiastico. I beni e le ricche attività dei monasteri cittadini furono tutti progressivamente incamerati dallo Stato, sia in epoca napoleonica che post-unitaria.
La popolazione urbana aumentò rapidamente, in particolare nei ceti sociali più poveri, con una forte domanda di spazi abitativi. Le strutture scavate dei Sassi, nei secoli destinate a diverse attività, generalmente produttive, ed ormai inadeguate a tale funzione, diventarono quindi la soluzione immediata e a basso prezzo per soddisfare tale necessità. Molte grotte, un tempo cantine, frantoi o stalle, diventarono case-grotta, che arrivarono ad ospitare fino a 4mila persone su un totale di 18mila abitanti dei Sassi, ormai sovraffollati. Nelle case grotta spesso la famiglia coabitava con un mulo, necessario per raggiungere i campi, e altri animali domestici come le galline, aggravando le condizioni di vita, già difficili.
Nella lunga storia dei Sassi, è questo l’ultimo fotogramma prima dell’abbandono.